La scomparsa di Salvatore Veca lascia un vuoto profondo in tutti noi. Il suo pensiero, la sua visione e l’amore per l’insegnamento hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo di tutto il nostro lavoro. Quello che siamo diventati oggi lo dobbiamo anche al suo instancabile contributo.
Il suo ultimo regalo al Campus è stata un’intervista in cui ha ribadito l’importanza dello studio e della formazione per affrontare con forza, fiducia e competenza il settore del Turismo. Rivolgendosi direttamente ai nostri ragazzi ha detto:
“Invito gli studenti a credere nel turismo come “materia per la vita”. Un insieme di discipline che hanno alla fine un solo compito: quello di dare forma e forza alla gentilezza tra esseri umani”.
Queste parole saranno da oggi alla guida del nostro impegno che dedicheremo al suo ricordo.
(Enrica Lemmi, Università di Pisa, Direttrice dell”Accademia del Turismo Fondazione Campus.)
Professor Veca, stiamo vivendo un momento di grande transizione e trasformazione del turismo. Come ne usciremo?
Come molti altri tipi di attività economiche, anche il turismo si trova alle prese con il post Covid-19, ovvero con la prima volta nella nostra storia recente che un’epidemia diventa pandemia. E per la prima volta siamo di fronte a un fenomeno globale che richiede risposte globali. Siamo in una situazione, come direbbe Nassim Nicholas Taleb, da cigno nero (raro, imprevedibile, di portata enorme).
Cambierà tutto o tutto tornerà come prima?
Molti hanno evidenziato la necessità del recupero della normalità, ma non dimentichiamoci che la normalità di prima ha generato questa situazione. La pandemia ha avuto la capacità malvagia e crudele di rivelare le fonti più profonde dei nostri mali sociali. Adesso è necessario fare perno sull’apprendimento collettivo della catastrofe per cercare di muoverci su un terreno che non coincida con quello che ha generato la catastrofe stessa. Uno dei modi per tratteggiare il futuro post Covid è quello di definirlo come un futuro “verde e blu”, capace cioè di mettere assieme la responsabilità nei confronti dell’ambiente con l’intelligenza artificiale, digitale e informatica. Proviamo a pensare “il verde e il blu” applicati al turismo, ma con una clausola: il verde non vuole rappresentare semplicemente l’ecosistema naturale in cui ci muoviamo, ma anche i nostri atteggiamenti sempre più consapevoli e responsabili. Il nostro fare turismo riguarda infatti anche l’ambiente come lo ereditiamo e come lo lasceremo a chi verrà dopo di noi. Riguarda, in altre parole, la sostenibilità ambientale insieme a quella sociale e culturale. L’atteggiamento di responsabilità etica nei confronti del verde deve intercettare questi due aspetti. Aggiungiamo, ora, al verde l’aspetto blu, ovvero la capacità infinita di avere accesso alle informazioni attraverso l’innovazione tecnologica e digitale. Il futuro del turismo avrà questi due colori.
Come sarà quindi il modo di essere e fare turismo?
Freud quando arriva finalmente di fronte al Partenone, dopo averlo tanto pensato e desiderato, ha come un mancamento: “Ma allora esiste davvero?”. Cito questo episodio della vita di Freud perché la ridefinizione dell’essere turista non può più essere incentrata sul consumo dei siti sul modello Partenone, ovvero artefatti simbolici che si crede, sbagliando, di conoscere già prima di incontrarli. Il modello Partenone è l’esempio di un turismo standardizzato e fortemente consumatorio. Un turismo che esercita una pressione violenta, temporanea ed estrattiva sul verde della destinazione definito nel suo doppio significato, naturale e culturale. L’overtourism altro non è che un consumo predatorio di beni che non rispetta il principio fondamentale sancito dall’era post Covid, che si basa sul rispetto nei confronti delle generazioni future le quali erediteranno da noi tutto quello che usiamo oggi. La sostenibilità, in questo senso, identifica ciò che l’organizzazione mondiale del turismo ha definito responsabilità sociale, economica e culturale delle persone nei confronti del fare turismo ed essere turisti. Pensiamo all’Appennino e ai suoi piccoli borghi: per fare turismo in luoghi come questi non esiste il modello Partenone, si tratta di bellezze nascoste che si deve scoprire e comprendere una ad una. E scoprendole si incontrano comunità, culture, tradizioni, sapori, saperi collettivi e individuali. Allora sì che l’esperienza del turismo diventa un viaggio di esperienza, rispetto e scoperta.
Dimenticheremo quindi di essere solo dei turisti e torneremo finalmente a essere viaggiatori?
Ricordo una vecchia canzone di Giorgio Gaber, Qualcuno era comunista. Possiamo dire, allora, che qualcuno prima era turista, un cattivo turista. E qualcuno sarà turista, un buon turista, se avrà la possibilità di sviluppare quella voglia di esperienza all’insegna del verde e del blu e del rispetto delle comunità e delle loro tradizioni. Il Covid è stato prodotto anche dalla combinazione determinata dal degrado ambientale e dal tasso predatorio nei confronti delle risorse e questi aspetti non potranno più non essere considerati nella definizione di domanda e offerta dei futuri atti di un turismo che sarà sempre più responsabile. Un turismo in cui il ruolo centrale del viaggio sarà definito dalla bellezza di piccole e grandi scoperte da fare lentamente, in silenzio, in punta di piedi, attenti a non disturbare, disposti ad ascoltare, incontrare, accogliere. Perché, come diceva Marcel Proust, “un vero viaggio non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi”.
Come nasce l’idea di creare a Lucca un Campus dedicato ai mestieri e alle scelte del turismo?
Insieme a Maria Lina Marcucci abbiamo pensato di formare proprio qua in Toscana tutte le figure professionali necessarie per il mercato del turismo, dal ragazzo di sala fino ai top manager, un progetto didattico e formativo pronto a rispondere in tempo reale alla crescente domanda di competenze sempre aggiornate per un settore in continua evoluzione. Per una strana combinazione di fattori siamo entrati subito in contatto con l’Università della Svizzera italiana che intanto si era costituita a Lugano. Grazie a loro potevamo arricchire la nostra offerta con una forte componente manageriale e di marketing, a cui abbiamo pensato di integrare una formazione di tipo storico e sociale. Anche l’Università di Pisa era convinta di fare qualcosa per attrezzarsi ai cambiamenti in atto nel settore del turismo e per questo ci siamo uniti e abbiamo creato, tutti insieme, un consorzio che fa riferimento a Fondazione Campus. Questo ci ha permesso di sviluppare una realtà unica in Italia. Nel Campus i ragazzi che superano il concorso di ammissione vengono seguiti, passo dopo passo, secondo le loro inclinazioni attraverso l’esercizio del tutorato. Il tutor ha con lo studente non solo un rapporto di insegnamento, ma lo segue anche nella sua crescita personale. E questo è molto importante perché ogni studente viene portato a ragionare su quello che maggiormente lo realizza e lo appaga. Abbiamo costruito una forma residenziale, a cui stiamo ancora lavorando, per completare una piena esperienza di comunità. Nel giro di vent’anni abbiamo fatto funzionare un modello inedito, formato da tre università diverse, uno strano oggetto capace di rispondere con velocità e competenza alle situazioni inaspettate. Anche a quelle improbabili, sempre per citare Taleb. Abbiamo poi messo il Consorzio all’interno di un’Accademia del Turismo che sviluppa anche forme non universitarie per la formazione di settore. La nostra idea è che dopo la scuola dell’obbligo non sia necessaria solo la formazione universitaria. Ci sono, per esempio, anche gli Istituti Tecnici Superiori che rappresentano un’esperienza straordinaria che può formare persone di prim’ordine molto richieste dalle aziende senza per forza passare dall’università.
Professor Veca, perché è importante oggi studiare il turismo?
Invito gli studenti a credere nel turismo come “materia per la vita”. Un insieme di discipline che hanno alla fine un solo compito: quello di dare forma e forza alla gentilezza tra esseri umani.