#Interventi. Federico Massimo Ceschin: Turismo circolare, quando la sostenibilità è un’attitudine

Federico Massimo Ceschin, Presidente nazionale di SIMTUR – Società Italiana professionisti mobilità dolce e turismo sostenibile, Segretario generale di Cammini d’Europa, coordinatore della rete nazionale dei Parchi Culturali Ecclesiali della Conferenza Episcopale Italiana e curatore del Meeting internazionale All Routes Lead to Rome, ci racconta il turismo circolare e l’economia delle esperienze.

L’ingresso dell’umanità nell’era delle pandemie ha sollevato la necessità di individuare nuovi set di indicatori ambientali, sociodemografici ed economici. Più ancora, ha reso evidente l’urgenza di modificare le nostre abitudini di produzione, di trasporto, di distribuzione e di consumo che già alcuni documenti avevano già giudicato “insostenibili”, quando non allarmanti. Riferimenti rimangono l’Enciclica “Laudato Si’” e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, significativamente pubblicate a pochi mesi di distanza.
In questi anni, il trasporto delle merci e delle persone, compreso il turismo, è stato uno dei punti focali più discussi nei media a causa del suo legame diretto con l’impiego di energie ricavate dal carbone e dal petrolio, con pesante impatto sui cambiamenti climatici. Dopo la dichiarazione di pandemia, con il conseguente lockdown imposto alla popolazione mondiale per contenere gli agenti virali, la mobilità è apparsa come uno dei settori più colpiti, ma anche uno tra i più reattivi e strategici in direzione della ripresa: numerose città di tutto il mondo hanno iniziato ad intervenire per rigenerare spazi pubblici e ridisegnare traiettorie per consentire alle persone di vivere e di muoversi in sicurezza. Con il timore che il trasporto pubblico potesse apparire come un’opzione meno sicura o scarsamente desiderabile, le progettualità vanno nella direzione di favorire la mobilità attiva, a piedi e in bicicletta, così come raccomandato dalla stessa Organizzazione mondiale della Sanità.

Ciò che è iniziato come una misura straordinaria ed emergenziale, potrebbe però trasformarsi in una visione permanente del futuro delle città e delle abitudini di viaggio: va rapidamente diffondendosi la consapevolezza dei benefici di azioni volte a considerare la centralità delle persone, di tutte le persone, sottraendo spazi alla mobilità motorizzata per una vasta gamma di utenza e di utilizzi.
In questa fase, l’approccio all’economia circolare è prezioso per definire azioni mirate a risultati di lungo periodo. Con l’affermarsi delle forme di mobilità condivisa (car sharing, car pooling, bike sharing, ecc.) e dei mezzi di “micromobilità” (segway, hoverboard, e-bike, ecc.), si va affermando uno scenario di “ecomobilità personale” che appare destinato a traghettare definitivamente tutti noi cittadini e consumatori oltre il criterio economico tradizionale “take/make/dispose”: certo dobbiamo ancora estrarre risorse, ma è chiaro che dovrà avvenire in misura minore e con maggiore rispetto per il Pianeta; certo dovremo continuare a produrre, ma seguendo indicatori diversi dalla crescita, più orientati alla sicurezza, al benessere e alla felicità; sicuramente dovremo ancora disporre dei beni e dei servizi, ma potremo farlo in modalità sempre più condivisa e collettiva.

Anche nel turismo, beni, mezzi di trasporto e persino servizi dovranno essere progettati per ridurre al minimo le risorse necessarie, per durare nel tempo, per essere riparabili e, soprattutto, per essere riutilizzabili o almeno riciclabili: di fatto, sarà come prendere in prestito le risorse per utilizzarle e restituirle in forma diversa.
Se poi si considera che alcune tra le destinazioni turistiche più attrattive coincidono con le aree più vulnerabili dal punto di vista ambientale – il Mediterraneo, i Caraibi, l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, tra le altre – diventa di vitale importanza che vengano intraprese azioni capaci di consentire lo sviluppo del settore attraverso forme di produzione e di consumo sostenibili, riducendo al minimo l’uso delle materie prime e delle risorse chiave. Tale prospettiva richiede il coinvolgimento di tutte le parti che concorrono a comporre la destinazione e le sue interconnessioni: i governi, le aziende e i consumatori devono lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune: attuare un’economia etica, inclusiva, collaborativa e sostenibile.

LA “NUOVA NORMALITÀ” SOSTIENE UNA NUOVA ECONOMIA

Essendo chiamati a ridurre l’uso delle risorse e delle energie, è ragionevole immaginare che i mercati accetteranno diminuzioni delle quantità di produzione soltanto a condizione che i beni siano progettati per essere riutilizzati, per soddisfare nuovi modelli di consumo e, soprattutto, per realizzare un maggiore valore aggiunto.

Nella catena del valore, tutto è dunque destinato a spostarsi sul processo, sull’innovazione e sulle qualità intrinseche desiderate dai consumatori: se questi si sentono meglio riutilizzando i beni piuttosto che acquistandone di nuovi, se le aziende si proiettano sui mercati producendo minori quantità dal valore aggiunto più elevato, se la salute della Terra migliora con prodotti ecocompatibili, tutto ciò condurrà all’adozione di nuove misure, diverse da quella che ancora oggi viene chiamata “crescita economica”, basata su indicatori di produzione lorda.

Apparentemente, è più facile vedere come i concetti di economia circolare possano influenzare i settori manifatturieri, piuttosto che il settore dei servizi come il turismo, le cui caratteristiche distintive sono il viaggio e il soggiorno temporaneo in un ambiente naturale, sociale e culturale lontano da casa per svago, affari o altre finalità, entrambe connesse ad elevate emissioni di CO2: quando i turisti arrivano a destinazione, nella maggior parte dei casi hanno già prodotto una notevole impronta ambientale, che non scomparirà rapidamente, senza alcun legame apparente con le attività svolte durante la permanenza. Tuttavia, esiste un legame stretto tra economia circolare e viaggi. Si pensi alla natura stessa del percorso compiuto: la preparazione, il tragitto, la destinazione, i trasporti locali, il soggiorno, il consumo di risorse, la partecipazione ad attività locali e – al termine – il rientro a casa. Tutte le sette le fasi sono compatibili con l’economia circolare, con una responsabilità condivisa tra i turisti – che decidono dove andare, come viaggiare e cosa fare a destinazione – e gli operatori, che possono proporsi in modo circolare. Come? Accompagnando la transizione nella logica del servizio e dell’esperienza.
Ad esempio l’illuminazione, il riscaldamento o l’aria condizionata, che potrebbero essere introdotte come servizi e tariffati a consumo, o progettati per interagire con il software di prenotazione in modo da spegnersi o impostarsi al minimo quando le stanze non sono occupate. O impegnarsi a ridurre il consumo di acqua e gli scarti organici, raccogliendo i rifiuti alimentari per produrre biogas da utilizzare per alimentare la struttura. In fondo, la logica è già ben visibile a bordo delle compagnie aeree low cost, dove il valore aggiunto è determinato dalla facoltà di scegliere il sedile.

La mobilità come servizio ha già un suo modello: si chiama MaaS, acronimo di Mobility as a service. Il concetto è abbastanza semplice, visto che il cloud ci ha ormai abituato a godere della nostra musica preferita, di un film o di un nuovo software “come servizio”, “on demand”, quando ne abbiamo desiderio o necessità. Allo stesso modo, un’app con una mappa e una grande varietà di opzioni di trasporto può sostituire l’auto nelle preferenze di movimento delle persone, come dimostrano numerose città europee che l’hanno adottata come alternativa al pendolarismo automobilistico. Presto potrebbe rivelarsi una valida soluzione anche nel settore del turismo.

Da un punto di vista economico, infatti, ci sono buone ragioni per ritenere che le imprese del settore possano nutrire un interesse ad adattare il loro processo di produzione al “turismo circolare”: la maggior parte di esse vive in un regime di “concorrenza monopolistica” che richiede un forte orientamento a differenziarsi dai competitor per acquisire spazi di mercato e, conseguentemente, profitto economico. Quindi sono chiamate necessariamente a monitorare le tendenze e le abitudini dei consumatori, che stanno evolvendo rapidamente.

In diversi paesi europei (Danimarca e Svizzera in testa), il consumo di prodotti biologici è aumentato del 50% negli ultimi cinque anni. La comparsa di società vocate all’economia condivisa (Airbnb, Couchsurfing, Uber, ecc.) è un’ulteriore prova del cambiamento radicale in corso. Così come l’affermarsi del cicloturismo, modo di viaggiare con una bici e una sacca che sono interamente progettati per diventare “materie prime seconde” al termine del loro ciclo di vita: copertoni e camere d’aria sono sempre più riutilizzati in ogni angolo del Pianeta, se non per realizzare altri velocipedi al fine di creare coperture termiche per i solai, pavimentazioni innovative, accessori e persino abiti.

L’ECONOMIA DELLE ESPERIENZE

Il turismo non è solo un’attività economica e, di conseguenza, le destinazioni turistiche offrono molto più di una semplice filiera di prodotti e servizi. Purtroppo la maggior parte delle attività di marketing territoriale dimostrano quanto sia ancora diffusamente percepito come un settore del commercio, piuttosto che un ecosistema integrato di connessioni in grado di aumentare il benessere e la prosperità della comunità locale. Una visione fortemente limitata, che rallenta l’adattamento alla “nuova normalità” che ci attende dopo Covid-19, in cui la produzione lineare di prodotti turistici non sarà più sufficiente.

Fondamento della creazione di valore è l’esperienza, ovvero una serie di eventi memorabili che impegnino sul piano personale il visitatore nell’atto stesso in cui li vive, considerata nella sua dimensione economica e identificata con un prezzo.

Un processo solo apparentemente semplice, che incontra una schiera di resistenze e indolenze: molti operatori trovano la loro ragion d’essere sul mercato per rendita di posizione, mentre un territorio che si ponga l’obiettivo di essere competitivo dovrà necessariamente orientarsi al cittadino, sia residente che temporaneo, come è il viaggiatore.

Se nell’acquistare un servizio, una persona esprime l’attesa di una serie di attività intangibili che vengono svolte per suo conto, quando compra un’esperienza la persona paga per poter trascorrere del tempo a gustarsi una serie di eventi memorabili messi in scena come in una rappresentazione teatrale, per sentirsi coinvolto a livello personale. Solo così l’esperienza diventa una nuova tipologia di offerta economica, che si va ad aggiungere alle commodity (materiali fungibili), ai beni (manufatti tangibili) ed ai servizi (attività intangibili). Tanto più gli eventi riescono ad essere memorabili, degni di essere ricordati, capaci di rendere l’utente un protagonista – determinando l’evoluzione da un’economia di prodotto ad un’economia basata sull’esperienza – tanto più i territori saranno riconosciuti come veri e propri “fornitori di emozioni”.

Il termine user experience design indica un mix di saperi vecchi e nuovi, che ha come obiettivo quello di modellare l’esperienza degli utenti: data la natura complessa e soggettiva dell’esperienza stessa, il “design dell’esperienza” non intende controllare in modo deterministico l’esperienza di una persona ma si occupa della progettazione del frame entro cui l’esperienza deve avvenire, in modo da (provare a) influenzarne i risultati. Ciò determina uno spazio perfettamente circolare: le destinazioni di successo saranno quelle che riusciranno a far incontrare positivamente la comunità locale con la comunità dei viaggiatori, sempre più connessa e interconnessa, digitale e tecnologica, in grado di restituire valore attraverso feedback generati da un solo gesto, come uno swipe, una stories, un selfie o una recensione con le stelline.

VIVIAMO UN REGIME TRANSITORIO

Il presente, con le limitazioni dettate dallo scenario pandemico, potrebbe essere considerato un “regime transitorio” nel quale sperimentare il passaggio dall’economia lineare a modelli di turismo circolare, in cui le destinazioni non si considerino più in termini di filiera ma di ecosistema.

Ogni viaggio – oggi più prezioso che nel recente passato – ha la capacità di sperimentare la vita quotidiana di una comunità, offrendo ai visitatori l’opportunità di entrare in “laboratori” in cui sperimentare, giocare e ripensare radicalmente l’organizzazione della propria vita quotidiana. Ciò non è interessante solo in prospettiva ambientale e sociale – registrando un potenziale per un coinvolgimento molto più diretto dei turisti con le risorse locali, il loro consumo, lo spreco e lo smaltimento dei rifiuti – ma per incoraggiare un cambiamento dei mercati turistici tradizionali che enfatizzano la spesa, l’edonismo e l’uso illimitato delle risorse, a vacanze vissute come esperimenti di circolarità.

Le opportunità sono molteplici e disponibili, anche in questa fase di incertezza nel futuro e di rallentamento dell’economia, per disegnare scenari che fino a ieri potevano solo essere immaginati. Se le frontiere internazionali sono ancora chiuse, rimangono aperte quelle del turismo di comunità, che consentono di tesorizzare il patrimonio di gesti, riti, stili, simboli e consuetudini custoditi con passione e con cura, all’ombra dei campanili. Sono tutti elementi vulnerabili, che il turismo di massa appiattisce, plastifica, ricrea a proprio uso e consumo, pertanto ogni esperienza dev’essere non soltanto autentica ma proposta alla fruizione responsabile.
Tanto più la comunità è ospitale, tanto più occorre entrare nella sfera di intimità in punta di piedi, rispettosamente, senza l’euforia da selfie, con tempi e modalità idonee a garantire la salvaguardia e la tutela di luoghi, dei paesaggi, delle circostanze, delle persone e di ogni altra risorsa.

Fonte: Italia Circolare

 

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