Perché oggi è importante studiare scienze del turismo? Visto il momento che stiamo vivendo, la domanda è solo apparentemente banale e le risposte non scontate impongono riflessioni profonde sul futuro di un comparto profondamente in crisi, ma decisivo per il rilancio della nostra economia. Domanda che abbiamo rivolto a Enrica Lemmi, Prof. Ordinario dell’Università di Pisa e Direttrice dell’Accademia del Turismo Fondazione Campus.
Siamo entrati in una fase molto delicata, di grande trasformazione e cambiamento per tutti gli ecosistemi produttivi. Il settore turistico è uno dei più colpiti. Quello che stiamo attraversando è qualcosa di assolutamente nuovo, a cui non eravamo preparati, che accelera riflessioni ormai non più rinviabili rispetto agli eccessi dell’overtourism e ai suoi impatti negativi sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Certe destinazioni negli ultimi anni sono state depredate, abbiamo assistito a un consumo anche materiale e fisico dei beni culturali del nostro patrimonio, e lo abbiamo fatto in nome di una numerica sterile determinata solo dai flussi e incurante della qualità della vita di chi vive in questi luoghi. Il modo migliore di investire questo tempo “malato” è fare un esercizio di visione e pensare a come gestire al meglio la fase del post-Covid.
Quali saranno le necessità, le competenze e gli sbocchi occupazionali per quello che da più parti viene definito il turismo della rinascita?
Sicuramente ci sarà bisogno di formare nuovi profili professionali in grado di interpretare il cambiamento e presentare narrazioni e design di prodotti attenti alle dinamiche in continua evoluzione di una domanda sempre più consapevole dell’impatto spesso negativo del turismo nelle relazioni con i territori. Per un po’ di tempo dovremo abituarci a un turismo più povero dal punto di vista numerico, in cui prevarranno i flussi domestici rispetto all’incoming internazionale e a una domanda sempre più coincidente con il rispetto del ritmo naturale del tempo e dell’ambiente. Il turista deve tornare a essere un viaggiatore. In un mondo che cambia anche la formazione in Scienze del Turismo deve mettersi in discussione e adottare categorie interpretative in grado di comprendere le dinamiche di un settore in fortissima evoluzione.
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato molto chiaro quando, chiedendo la fiducia in Parlamento, ha dichiarato che il turismo tornerà a essere sicuramente una risorsa fondamentale per il Paese. Non solo lo ha detto, ma ha anche istituito il Ministero del Turismo. Un segnale di impegno preciso.
Il ritorno del Ministero del Turismo è un’ottima notizia. Questo comparto economico vale il 13% del PIL e il nostro è un settore che deve essere considerato strategico. Il brand “Italia” è potentissimo perché porta nel mondo l’eccellenza delle filiere produttive agroalimentari ed enogastronomiche e i prodotti delle grandi manifatture creative del design e della moda. E il made in Italy è una straordinaria opportunità di turismo non ancora valorizzata. Inoltre è stato giusto da parte del Presidente del Consiglio aver sottolineato l’importanza della formazione tecnica, annunciando finanziamenti importanti che arriveranno per sostenere i nuovi format della formazione professionale post diploma attraverso la formula degli istituti tecnici superiori per andare incontro alle imprese e alle grandi aziende che oggi chiedono manodopera qualificata specializzata e non la trovano.
Attraverso Fondazione Campus, oltre ai corsi di laurea con cui creiamo profili di tipo manageriale, abbiamo lanciato da qualche anno anche un ITS sull’ospitality management, dedicato alle figure tecniche intermedie. Quelle figure di cui abbiamo bisogno per rendere il nostro settore più competitivo e innovativo. Di manager c’è bisogno in numero finito, di tecnici e operatori in numero molto maggiore.
Un modello di turismo diffuso a cui far corrispondere una formazione articolata su più livelli e tagliata per le diverse specificità territoriali.
L’Italia è fatta di bellissime città, preziosissime dal punto di vista culturale e architettonico, ma anche di territori, che spesso si innervano su un sistema abitativo diffuso, fatto di piccole comunità, dove creare lavoro significa garantire coesione, inclusione sociale e qualità della vita. Si parla di Smart City, parliamo anche di Smart Vision. Luoghi dove si vive bene, dove esistono processi di governance attenti alla gestione delle criticità sociali, dove ci sono esempi innovativi di welfare diffuso per soddisfare i bisogni dei cittadini, sono luoghi che migliorano l’esperienza del turista. Se stai bene tu, staranno bene anche i tuoi ospiti. Perché una destinazione turistica è, prima di tutto, un luogo dove si vive bene. Solo così possiamo parlare di turismo della rinascita e di turismo del nuovo umanesimo.
All’interno di Fondazione Campus si parla anche molto di “Turismo di prodotto”. Sembra che le imprese comprendano prima degli altri quali siano le dinamiche di relazione che si possono intrecciare tra il turismo, il rapporto di coesione con la comunità e i territori, i valori di un marchio e i suoi significati. Se ne sono accorte la moda, l’enogastronomia, le grandi aziende del vino e dell’olio. Il turismo di prodotto può essere uno dei trend di sviluppo e ripartenza dell’intero settore?
Assolutamente si. Il vero DNA dei territori passa attraverso quel sedimentato di professionalità, di mestieri, di capacità di organizzare lo spazio antropico in modo sapiente rispetto alle risorse disponibili. Solo nella logica del glocale e nella comprensione più autentica della catena del valore che lo definisce possiamo recuperare la specificità, l’identità e la diversità contro l’omologazione, la standardizzazione e un appiattimento culturale mass market che ha fatto così male al turismo, e non solo a lui.
Spesso i brand di qualità nei loro luoghi di produzione creano dei cluster che mettono insieme i processi di innovazione con le tradizioni più antiche delle vecchie manifatture artigianali. In questo modo si crea una catena del valore che diventa attrattiva. Voglio visitare un prodotto perché voglio sapere se quel prodotto racconta una storia vera. Il turismo di prodotto instaura così un nuovo rapporto di fiducia tra produzione e consumo.
Turismo di prodotto, turismo delle relazioni, turismo di prossimità, turismo di comunità, turismo dei territori, turismo lento, turismo responsabile. Queste sono le parole chiave per quello che oggi, forse più di ieri, sembra proprio un bel mestiere da imparare.
È proprio grazie a queste parole che oggi i giovani sono consapevolmente attratti da questo settore. Il turismo può dare grandi soddisfazioni nella progettazione, nell’incontro con gli altri, nella relazione con il paesaggio che ci circonda, nel modo di fare e di essere al centro di una comunità. Sono tutte parti di un unico grande meccanismo in cui devi essere sempre pronto ad adattarti, a cambiare, ad accettare la sfida. Fare turismo significa reinventarsi, sempre. Bisogna avere l’umiltà di studiare la domanda sotto i vari profili: la capacità di spesa, il profilo intellettuale ed emozionale, il riconoscimento delle attese. C’è il turista psicocentrico che si sente sereno solo quando vive esperienze morali e sociali che rappresentano la sua quotidianità: questo tipo di turista richiede durante il viaggio una serie di servizi che lo facciano sentire sempre a casa propria, a proprio agio. C’è al contrario il turista allocentrico che è completamente proiettato verso l’altro da sé e vuole vivere in ogni momento un’esperienza nuova, sempre diversa. In mezzo a questi due estremi c’è un mondo meraviglioso tutto da scoprire. Studiare turismo significa capire tutto questo. È proprio un bel mestiere.