L’albergo è il servizio del sistema turistico maggiormente colpito dalla pandemia. In che modo questa situazione di crisi e di profonda trasformazione può essere l’occasione di un cambiamento positivo, di sviluppo e rilancio dell’albergo e dei suoi servizi al centro dell’ecosistema del turismo che verrà? E di quale competenze avrà bisogno il “nuovo” albergo? Ne parliamo con Daniele Barbetti, Presidente di Federalberghi Toscana.
L’albergo – le strutture ricettive più in generale – sono tra le poche attività che possono essere definite turistiche in senso proprio. Tutte le altre appartenenti alla filiera cosiddetta turistica possono avere una dinamica economica anche relativa al mercato di prossimità, che quindi non comporta necessariamente di trascorrere uno o più giorni lontani dalla propria residenza abituale. Per questo è importante essere più rigidi nel distinguere il turismo propriamente detto, da quello di prossimità che invece andrebbe definito come escursionismo di giornata.
La pandemia sembra aver cambiato tutto.
Rispetto alla sicurezza sanitaria, ciò di cui hanno più paura le persone è di ammalarsi di qualcosa senza conoscerne gli esiti: nessuno si fa più troppi problemi a partecipare, ad esempio, a un safari in Africa quando è sicuro di poter seguire una corretta profilassi antimalarica. Quello che sconvolge oggi le nostre abitudini è la facilità di trasmissione della malattia unita all’incertezza dell’esito clinico. Quando, tramite i vaccini, avremo un maggior controllo del problema, tornerà forte il desiderio di viaggiare. Ciò che certamente invece rimarrà sarà il grande impulso alla digitalizzazione dei servizi, soprattutto per quello che riguarda il servizio on-demand. Il Covid-19 ha infatti completato la transizione del digitale da strumento individuale a strumento di massa, ed è proprio su questo aspetto che vedremo le maggiori trasformazioni nei nostri modelli organizzativi. La formazione va quindi concentrata su questo specifico tema, ovvero sul digitale applicato in senso orizzontale all’organizzazione, e in senso verticale alla distribuzione. Lo smartphone e i social network sono diventati strumenti di scelta e gestione del nostro soggiorno non solo in fase di prenotazione, ma anche durante il viaggio: ci si interfaccia con l’albergo e le offerte del territorio dopo che si è arrivati, esercitando tutte le funzioni on-demand presenti.
Quindi, possiamo parlare dell’albergo ormai come di un hub digitale, una finestra aperta sul territorio e le sue esperienze, soprattutto nel momento in cui il turista è presente fisicamente in quel territorio?
Assolutamente sì. I ragazzi che approcciano la formazione in questo ambito devono farlo in modo integrato, acquisendo competenze sul sistema gestionale dell’albergo ma producendo al contempo un sapere che coinvolga non solo il funzionamento dei programmi ma anche il modo in cui le applicazioni si relazionano tra di loro, una competenza olistica che preveda la conoscenza dei meccanismi di connessione tra tutti i sistemi, tutte le piattaforme e i loro contenuti.
Gli alberghi sono pronti a questa trasformazione?
Forse nessuno è ancora davvero pronto ma con questa necessità ci dovremo misurare tutti. Faccio un esempio. Mi sono sempre chiesto se il potersi immergere con la realtà virtuale all’interno del centro storico di una città d’arte potesse togliere motivazione al bisogno di viaggiare e di visitare realmente quella città. Ho capito che non è così. Nulla verrà tolto all’esperienza reale perché la tecnologia consente di integrare dinamiche che non possiamo vivere altrimenti. Penso alle celebrazioni di Dante: ho visto alcune operazioni digitali in cui ci si può relazionare con il Sommo Poeta che passeggia all’Inferno. Ebbene, non solo sono molto interessanti ma non tolgono nulla alla lettura del libro. La percezione reale non verrà mai del tutto sostituita. La dimensione del virtuale come contrapposto al reale non esiste più, il virtuale è una declinazione del reale e va preso e gestito come una grande opportunità di arricchimento. Non sostituisce, ma aggiunge.
Di quali altre competenze avranno bisogno gli alberghi di domani?
Prima di tutto di competenze legate all’organizzazione. Se un tempo le organizzazioni erano un po’ più rigide oggi bisogna vivere la propria mansione in termini espansivi. Un altro tema importante è quello della barriera linguistica, soprattutto in fascia medio-alta: alcuni segmenti come il turismo russo, quello cinese o, in parte, quello connesso ai Paesi Arabi devono essere approcciati adeguatamente anche a livello linguistico e culturale. Infine, occorre sapersi relazionare bene con le persone. Saper stare con il cliente, tanto al front desk come nella ristorazione o all’interno di una Spa, implica la conoscenza di competenze trasversali e di natura complessa che coinvolgono educazione, formazione, organizzazione, integrazione dei servizi e comunicazione. Ovviamente serve un know-how specialistico perché anche l’accoglienza in tutte le sue forme necessita di standard internazionali.
Il sistema turismo sta ridisegnando se stesso. Parliamo di investimenti pubblici che arriveranno dal Next Generation Ue e di un nuovo design nel rapporto tra domanda e offerta. Cosa chiede per la vostra associazione di categoria?
Politiche di sostegno alle imprese e investimenti, soprattutto su trasporti e infrastrutture. Sostenere il turismo significa tenere in piedi un pezzo importante di questo paese e capire che gli alberghi sono aziende complesse che necessitano di strategie complesse, non estemporanee. Per quello che riguarda invece il tema fondamentale della relazione con il cliente, oggi le possibilità di mettersi in comunicazione con lui sono molto più articolate ma hanno bisogno delle parole giuste. Occorre insegnare agli studenti a creare contenuti originali, e a costruire testi interconnessi con tutte le possibilità di indicizzazione ed engagement offerte dalle piattaforme digitali. La qualità del testo e della comunicazione per produrre qualità di relazione non è più aggirabile. Occorre investire. E la formazione è l’investimento più importante.