Sotto l’azzurro fitto/del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: «più in là»”
Il più in là cantato da Eugenio Montale è un’attitudine al viaggio che si alimenta di esperienze, racconti, narrazioni. Anche se la nostra meta è il paesaggio che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi. Perché, come scriveva Italo Calvino, “Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.”
Perché il viaggio non è distanza, ma bellezza, comunità, sostenibilità, occhi per guardare, parole per raccontarlo.
Il viaggio è una storia che esiste solo se la sappiamo raccontare.
Per questo abbiamo chiesto agli studenti che seguono l’insegnamento “Itinerari turistici e paesaggio come patrimonio culturale” del corso di laurea triennale in Scienze del Turismo tenuto da Enrica Lemmi, Direttrice dell’Accademia del Turismo di Fondazione Campus e professoressa ordinaria presso l’Università di Pisa, di descrivere e raccontare un viaggio aprendo semplicemente una finestra della loro casa. E abbiamo chiesto loro di descrivere il paesaggio che si vede da quella finestra come se fosse una meta turistica usando il linguaggio dello storytelling. Perché quello che i nostri occhi vedono da una finestra descrive il senso del vero viaggiatore. E quando abbiamo occhi per vedere e parole per raccontare quel viaggio diventa un’esperienza che merita sempre di essere raccontata.
Oggi apriamo la finestra di Benedetta Leon Palumbo…
Vivo in un appartamento, primo piano.
Clacson, gente che parla passando sotto al mio balcone. Tutti i giorni sempre lo stesso paesaggio, palazzi imbiancati di rosso, giallo e altri scrostati e grigi.
Un parcheggio poco più alla mia sinistra, ospita temporaneamente molte macchine e tante di queste si fermano lì ogni giorno, dalla mattina alla sera, abitudinari, lavoratori, gente che porta a passeggio il proprio cane.
Tutti loro fanno parte di questo paesaggio, di questo mio paesaggio.
Cosa vedo dalla mia finestra?
È mattina, sollevo la serranda. Il sole deve ancora sorgere e da fuori entrano degli spifferi di vento attraverso la finestra non ben isolata. Vento freddo, con una tazza di latte e caffè caldo mi fermo ad osservare il solito paesaggio mattutino.
Partendo dal basso. I mattoni rossi del mio terrazzo sul quale la sedia e il tavolo in ferro battuto sono stati abbandonati in un angolo da inizio settembre per il freddo, la ringhiera rossa e arrugginita alla quale manca del colore in diversi punti, la strada asfaltata umida e il marciapiede che porta a una galleria, oltre l’entrata può esserci di tutto o niente. Più a sinistra un cancello, un cartello “Attenti al cane” appeso in bella vista, un giardino curato e decorato con luci, spente, appese a dei fili.
Sempre con gli occhi in basso vedo un parcheggio, la jeep verde è già lì. Una punto bianca, una 500 large nera, abitudinari. Nel giro di poco un suv rosso risale dal parcheggio interrato e se ne va. La famiglia che abita nella casa davanti al mio balcone si è svegliata da poco, aprono le finestre e nel giro di 20 minuti sono entrambi vestiti bene per andare a lavoro, si salutano, si baciano, si augurano buona giornata come se non volessero separarsi e partono, ognuno con la propria macchina tutta coperta da un sottile strato di ghiaccio. Il loro scooter è sotto uno spesso strato di nylon e tessuto, vicino al loro sgabuzzino, dove resterà fino ad inoltrata primavera.
Sollevando leggermente lo sguardo intravedo una luce attraverso le serrande ancora chiuse di un appartamento nel palazzo rosso e giallo poco più avanti, in quell’appartamento abita una coppia di signori anziani. D’estate il marito sta spesso sul balcone a guardarsi in giro, d’inverno preferisce stare in casa, alzare le serrande, spostare leggermente la tenda e osservare ciò che c’è fuori, poi, quando comincia ad appannarsi il vetro per il suo respiro si allontana e non lo vedo più, non so dove vada, se quella finestra è della sua cucina o del salotto. Proprio accanto al suo balcone ve n’è un altro, lì abita una coppia giovane con un gatto, loro sono svegli da più tempo di me, il gatto sul balcone si struscia sulla ringhiera. Proprio sopra questo appartamento con il gatto, abitano un cane e la sua padrona. Dormono ancora, sulla loro ringhiera c’è sempre un telo che copre parzialmente la visuale. In questo palazzo ci sono altri tre balconi ma appaiono disabitati, tranne uno che è pieno di cose ma senza anima viva.
Per il periodo natalizio, nella piazza vicino a casa, hanno costruito una pista di ghiaccio e già la mattina accendono la musica, Carey e Bublé sono i cantanti principali. Si sentono le macchine che passano, le corriere sulla strada principale che suonano il clacson.
Guardando più su verso destra posso intravedere, attraverso le chiome degli alberi di un parco poco lontano da casa mia, il campanile di una chiesa, si sentono le campane suonare e mi fanno immaginare un tempo in cui i contadini si alzavano con il suono delle campane per andare a lavorare nei campi.
Osservando verso il cielo posso vedere ancora la luce lieve di una stella lontana che viene lentamente messa da parte dal bagliore intenso del sole che sorge e che dà l’inizio ad un’altra giornata.
Dalla mia finestra vedo il tempo che passa, sento il passato e il futuro congiungersi e per questo è la mia meta turistica, dove vado tutte le mattine e le sere a riunire i pensieri e rilassarmi per staccare dai miei problemi e viaggiare con la mente.
Propongo la mia finestra come meta turistica, da usare come piattaforma rialzata dal mondo esterno per osservare ogni minuziosità che i passanti, protagonisti della loro storia, ritengono importanti e per ricordarci che siamo tutti un piccolo granello di sabbia su di una spiaggia immensamente magica.