“Sotto l’azzurro fitto/del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: «più in là»”
Il più in là cantato da Eugenio Montale è un’attitudine al viaggio che si alimenta di esperienze, racconti, narrazioni. Anche se la nostra meta è il paesaggio che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi. Perché, come scriveva Italo Calvino, “Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.”
Perché il viaggio non è distanza, ma bellezza, comunità, sostenibilità, occhi per guardare, parole per raccontarlo.
Il viaggio è una storia che esiste solo se la sappiamo raccontare.
Per questo abbiamo chiesto agli studenti che seguono l’insegnamento “Itinerari turistici e paesaggio come patrimonio culturale” del corso di laurea triennale in Scienze del Turismo tenuto da Enrica Lemmi, Direttrice dell’Accademia del Turismo di Fondazione Campus e professoressa ordinaria presso l’Università di Pisa, di descrivere e raccontare un viaggio aprendo semplicemente una finestra della loro casa. E abbiamo chiesto loro di descrivere il paesaggio che si vede da quella finestra come se fosse una meta turistica usando il linguaggio dello storytelling. Perché quello che i nostri occhi vedono da una finestra descrive il senso del vero viaggiatore. E quando abbiamo occhi per vedere e parole per raccontare quel viaggio diventa un’esperienza che merita sempre di essere raccontata.
Oggi apriamo la finestra di Federica Ghilardi…
Nonostante casa mia sia ubicata abbastanza lontano dal centro del paese, il panorama che si manifesta fuori dalla mia finestra non mi fa impazzire. Ogni mattina apro gli scuretti che mi riparano dalla luce esterna e posso subito capire se mia mamma, prima di andare al lavoro, ha steso il bucato, dato che proprio di fronte alla mia finestra è stato collocato il filo per poterli stendere. Questa routine può essere molto piacevole, soprattutto l’estate in quanto, tenendo la finestra socchiusa per rinfrescarsi dalla calura estiva, spesso si può godere di quel buon odore di pulito. Meno piacevole è sicuramente d’inverno quando i panni oscurano la poca luce che riesce a filtrare.
Dietro allo stendipanni, anche se spesso è nascosta, c’è una siepe che è lì da 15 anni, fin da quando ho aperto per la prima volta la mia finestra. Con il tempo l’ho vista crescere, cambiare forma e dimensione, l’ho sentita far rumore soprattutto durante le ore notturne ogni volta che un animale passava vicino alle sue foglie, lei era sempre lì e ogni volta che mi affacciavo fuori dalla finestra mi ha fatto sempre compagnia.
Sulla destra si staglia imponente la casa che ho di fronte dove una finestra dalle tapparelle bianco sporco rimane quasi sempre socchiusa e mi genera una sensazione di tristezza e inquietudine. Fortuna che, accanto alla mia sinistra, c’è una macchia verde composta da un sacco di alberi, alcuni dei quali spuntano dal pollaio di mia nonna, dove non regna mai un attimo di pace.
Ogni stagione che si sussegue fuori da questo piccolo scorcio di casa regala uno scenario diverso: durante la stagione estiva il paesaggio si tinge del profumo del tiglio e l’aria, leggermente fresca che entra, porta con sé anche il cinguettare degli uccellini e il rumore di macchine e motorini che si dirigono verso il mare. Arriva settembre e con sé anche l’autunno dove tutto diventa color fuoco; le foglie degli alberi diventano gialle poi rosse fino a cadere. Dalla casa “triste e solitaria” del vicino si espande odore di vendemmia, odore che accenna che l’estate oramai è passata. La siepe invece rimane sempre con me a osservare.
L’inverno è annunciato dall’odore pungente del fumo dei camini che mi obbligano a chiudere le ante della mia finestra per evitare che si insinui all’interno della stanza. Gli alberi non hanno più le foglie e le giornate si fanno sempre più corte, il dolce pendio delle colline che circondano la mia casa si tinge in anticipo dei tenui colori del tramonto invernale, fino a far calare del tutto le tenebre. Nel periodo di dicembre, dalla mia finestra non si odono più gli uccellini, tutto tace e durante la notte la brina si posa sulle foglie della siepe: la mattina seguente è ancora lì, tinta del suo colore verde toscano.